Si potrebbe pensare che la crisi energetica del 2022 abbia fatto rallentare l’entusiasmo verso gli investimenti responsabili e sostenibili. Nonostante lo scenario poco favorevole abbia certamente contribuito a penalizzare gli investimenti ESG, la crisi ha in realtà ricordato all’opinione pubblica e ai governi l’importanza della transizione energetica e del passaggio a fonti di energia rinnovabile per ridurre la dipendenza dal combustibile fossile russo entro il 2030.L’evoluzione degli investimenti ESG potrà realizzarsi anche grazie a tre tendenze significative che sono andate consolidandosi nel corso del 2022:
- La messa a punto di tecniche, metriche e quadri regolamentari più sofisticati, per esempio con il lancio di nuovi ETF che rispettano i criteri ESG;
- L’urgenza della transizione verde e della sicurezza energetica per le autorità politiche;
- L’impegno e la consapevolezza sempre crescenti degli investitori istituzionali.
Certamente, c’è qualche notizia negativa anche in questo 2023. Ad esempio, alcune grandi istituzioni hanno un po’ smorzato i toni entusiastici degli scorsi anni e il movimento anti-ESG americano sta prendendo più slancio. Tuttavia, il panorama degli investimenti ESG, specialmente nell’Eurozona, continua ad avere un’evoluzione regolatoria molto rilevante. Ne sono un esempio il recente raggiungimento dell’accordo provvisorio sugli European green bond, che mira a creare un framework trasparente per la valutazione delle obbligazioni verdi. Sebbene il testo completo non sia ancora stato definito, uno dei punti di attenzione maggiori è stato l’utilizzo della tassonomia europea per definire le attività finanziabili dalle obbligazioni, al fine di armonizzare le definizioni e creare un “gold standard” globale. Questa scelta si va ad inserire nella più ampia battaglia intrapresa contro il greenwashing, che rimane la priorità numero uno del Regolatore. Le critiche non sono mancate, con ICMA e Climate Bond Initiative che avvertono che un quadro attualmente poco duttile e incompleto come la Tassonomia potrebbe affossare l’emissione delle obbligazioni verdi. Anche Securities and Markets Stakeholder Group, qualche settimana fa, aveva espresso preoccupazioni sulla maggiore complessità introdotta, utile forse a scoraggiare il greenwashing ma potenzialmente incentivante il green bleaching, ossia il fenomeno per cui i gestori che investono in attività sostenibili si astengono dal dichiararlo per evitare oneri regolamentari.
Anche l’interazione tra politica monetaria e finanza sostenibile si sta evolvendo significativamente. Lo scorso 23 marzo la Bce ha esibito per la prima volta l’andamento delle emissioni di gas serra medie delle obbligazioni societarie acquistate sotto i programmi di Quantitative Easing, PEPP e CSPP. Da ottobre 2022 l’istituto di Francoforte si è impegnato a sovrappesare gli acquisti di bond societari di emittenti con “migliori performance climatiche” e infatti il report pubblicato a marzo mostra una riduzione del 65% dell’intensità di gas serra degli acquisti del quarto trimestre 2022. Altro dato interessante è l’esposizione del 59% del portafoglio a emittenti con obiettivi certificati di riduzione delle emissioni. Come osservato molteplici volte anche nella storia più recente, le scelte di politica monetaria sono cruciali per gli asset finanziari e se il trend di decarbonizzazione del portafoglio della Bce dovesse continuare potrebbe influenzare in modo significativo non solo le scelte di investimento delle istituzioni finanziarie, ma anche gli obiettivi climatici delle società emittenti di tali obbligazioni.
Come la BCE, continuiamo a considerare le emissioni di gas serra delle aziende un aspetto cruciale della nostra strategia di investimento sostenibile. La “decarbonizzazione” del portafoglio può essere raggiunta in modi diversi ma, al di là della metodologia utilizzata, ci sono delle pratiche a cui bisognerebbe ambire:
In primis, non abbattere le emissioni medie del portafoglio semplicemente disinvestendo dai settori ad alto impatto climatico (anche perché questo andrebbe a sbilanciare le performance finanziarie dell’investimento), ma considerare le emissioni anche in rapporto ai valori medi del settore in cui si investe;
In secondo luogo, considerare le emissioni di tutta la catena del valore dell’azienda in cui si investe. Sebbene sia ancora complesso stimare e trovare dati affidabili sulle emissioni di CO2 indirette, settori e aziende diverse emettono in fasi diverse;
Terzo, favorire tecniche di investimento che considerano anche i piani prospettici di riduzione delle emissioni, specialmente se scientificamente validati. Alcune aziende con obiettivi climatici validi ma che hanno iniziato da poco il processo di transizione potrebbero essere sfavorite se misurate solo sulle emissioni storiche.
Infine, si tenga presente che l’intensità di CO2 media di un’azienda non è l’unica metrica per valutare la bontà di un investimento responsabile. Alcuni strumenti finanziari a impatto positivo come i green bond potrebbero essere offerti da aziende con intensità di gas serra superiori alla media. Per tali investimenti bisogna analizzare anche i progetti che hanno finanziato e la loro capacità di ridurre le emissioni di gas serra nel lungo termine (ad esempio con l’efficientamento della rete di trasporti).
Per concludere, crediamo che l’approccio socialmente responsabile resti decisamente il nuovo modello da perseguire negli investimenti a patto che si abbiano il tempo e le competenze che occorrono per monitorare un panorama in forte e continua evoluzione regolatoria e per valutare correttamente tutte le implicazioni che porta con sé la costruzione e la gestione di un portafoglio socialmente responsabile.
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